Archivio per gennaio 2012

P.S.: comunicazione personale – 2

Ebbene sì. Entrambi i miei vecchi blog sono riapparsi in questa piattaforma. Ancora separati, però. In attesa di agganciarli uno all’altro ho riletto quanto scrivevo otto anni fa: quanta ingenuità! ma anche tanta fiducia nella parola scritta, e nell’esercizio dello scrivere. Che ora non so se sia allo stesso livello di allora. Sto leggendo troppe ‘cose’ belle (sei libri nel solo mese di gennaio), e nello scrivere -lo dico senza imbarazzo- mi sembra di non essere all’altezza, di non meritare lettori. Ma tant’è: perché dovrei rinunciare a quel piccolo piacere che la scrittura mi dà? E allora, avanti, continuiamo.

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Benno von Eppan – 7

In una delle sue notti agitate da sogni inquieti, Benno von Eppan vide se stesso nei panni di un creativo. L’ispirazione languiva, erano giorni e giorni che non gli veniva in mente un’idea brillante, una di quelle che dici “Non m’ìnteressano i soldi, voglio colpire nel segno”. E invece, si chiedeva come mai il pensiero andasse sempre alla pubblicità di una carta igienica: non perché ne apprezzasse la storia, ma perché non capiva come mai da anni fosse sempre la stessa e continuasse a imperversare alla televisione. Fino a quel momento si era sempre tenuto sul filo dell’ironia, dell’allusione velata o dei giochi di parole. Gliene era uscita una che gli sembrava contraddistinguere la sua cifra:

(l’immagine viene da qui)

Mai una caduta di stile, mai una scena violenta. Però ora…
Rigirandosi nel letto, pensò di non scacciare l’idea che improvvisamente gli si era presentata davati agli occhi: allontanò da sé le coperte, cercando di non fare rumore a tentoni trovò le pantofole e nel buio si diresse cauto nello studio. Accese la luce. Un sorriso gli si stampò sul viso. In un momento abbozzò il disegno, inserì le immagini che il committente gli aveva fornito, scrisse le didascalie e ammirò contento il risultato:

(l’immagine viene da qui)

Burgunde si era avvicinata silenziosa con il caffé. Posando silenziosa la tazzina sul tavolo guardò Benno. Che mescolando distrattamente il caffé non si accorse che se ne era andata via. Silenziosamente, com’era entrata.

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Sul concetto di ‘letteratura’

Chiedere e chiedersi “cos’è LA letteratura” è diverso dal chiedere e chiedersi “COSA è Letteratura”.  Sto seguendo una discussione in  merito e mi piacerebbe che anche* qui se ne potesse parlare: siamo un’amena combriccola di lettori, anche voraci mi sembra. Quindi… proviamo, se vi va!

*cfr. http://bit.ly/wIDTmv  (non temete per la stranezza del link, è un sito sicuro!)

(l’immagine viene da qui)

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Rivisitazioni – 5

Correva l’anno 1966. In casa sentivo mia madre parlare del caso della zanzara: era coinvolto il figlio di una sua conoscente e pur con un vago ricordo mi sembra che  lei stesse dalla parte degli studenti.  Probabilmente però-data l’età- non  ero molto interessato al problema. Una notizia di cronaca mi turbò molto, quell’anno: in un incidente aereo morirono a Brema, in Germania, sette nuotatori della nazionale italiana: poco tempo prima avevo visto alla televisione un  servizio in cui si parlava di una nuotatrice che aveva un piccola piscina in casa e quindi poteva allenarsi quando voleva: visto che facevo parte anch’io di una squadra di nuoto invidiavo questa sua opportunità. Non so però se ci fosse anche lei fra le vittime. E’ anche l’anno dell’eliminazione dell’Italia ai mondiali di calcio: non ho ricordi visivi perché ero in colonia a Calambrone e il gol coreano l’avrei visto non so quante volte negli anni a venire.  E’ anche l’anno della tragica alluvione di Firenze, di Venezia, di Trento. A Firenze ero stato durante le vacanze di Pasqua, a Trento abitavo, da Venezia siamo tornati a casa in tempo proprio il 3 o il 4 novembre: i nonni, che eravamo andati a trovare e ai quali lasciammo provviste per qualche giorno, rimasero bloccati in casa con l’acqua che arrivava alle scale d’entrata.

E’ comunque l’anno dei miei tredici anni. E’ l’anno in cui il festival di Sanremo viene vinto da Modugno e Cinquetti con Dio come ti amo. Per fortuna che la classifica viene scombussolata dal secondo posto di  Caterina Caselli e Gene Pitney con Nessuno mi può giudicare. Per la verità io cominciavo ad apprezzare qualcosa di diverso: in casa già si sentivano Beatles e Rolling Stones pur con qualche perplessità da parte di mio padre, che apprezzava altri tipi di sonorità. Fatto sta che ci fu una discussione in casa perché ebbi la malaugurata idea di dire che mi piacevano sia gli Yardbirds di Jeff Beck che cantavano Paff bum in compagnia di un Lucio Dalla ancora con i capelli:

sia i Renegades con le loro divise da nordisti:

Leader del gruppo (piazzatosi all’ultimo posto in compagnia dell’Equipe 84 di Maurizio Vandelli) era Kim Brown, compagno di una famosa attrice che scaldò i sogni di molti giovani (e non solo) d’allora: Margaret Lee (famose le sue apparizioni a fianco di Johnny Dorelli in TV e nel film Arriva Dorellik)

Da poco tempo cominciavo a comprare dischi con i miei soldi e ancora oggi alcuni li conservo gelosamente.  In particolare uno, ovviamente una cover di una più nota canzone americana :

Erano Mike Liddel e gli Atomi. C’e qualcuno che se li ricorda ancora? Quante volte l’ho sentita, durante l’estate, e quante versioni ne sono state eseguite! A questa però sono veramente affezionato, forse perché è la prima che ho sentito, forse perché così credo oggi.Tentavo anche di strimpellarla, quando riuscivo a farmi prestare la chitarra dai compagni più grandi… Ma in quell’estate passata in una amena località di mezza montagna, grazie a loro conobbi Cream, Jimi Hendrix, Jefferson Airplane, le canzoni di protesta americane che cominciavano a sentirsi alla radio: iniziavo un percorso che mi avrebbe portato, negli anni seguenti, a ricercare -come sto facendo ora- la colonna sonora di quegli anni. E come dimenticare allora, solo per rimanere in Italia, uno sconosciuto Mauro Lusini con la sua C’era un ragazzo che come me… (ebbene sì, morandiani d’antan, non è del Gianni, questa canzone, anche se lui l’ha portata al successo) e l’Umberto Napolitano di Chitarre contro la guerra:

Protesta all’italiana forse, se paragonata alle canzoni d’oltre oceano che avrei capito maggiormente in anni più maturi. Ma indubbiamente canzoni che hanno lasciato il segno.

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No title, here

Non rivelo sicuramemente nulla di nuovo -chissà quanti l’hanno addirittura scritto– quando dico che i ricordi non si muovono solo lungo una linea retta (orizzontale: (auto)biografia / verticale: carrucola dal pozzo) ma soprattutto in maniera tortuosa, procedendo a volte in maniera confusa. Trasferirli sulla pagina potrebbe dare la stessa idea di confusione a chi, poi, legge. E quella confusione, spesso, è vera.

E’ come se il presente, la vita presente, subisse una specie di metaforfosi: ci vediamo in un  ‘allora’ con gli occhi e la consapevolezza del ‘poi’ senza la possibilità di mutare un percorso ormai pietrificato se non attraverso sogni di cui al mattino non resta traccia.

Su quel percorso restano, a mo’ di miliario, scarne immagini. O canzoni…

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Rivisitazioni – 4

Non saprei proprio dire come mai fin da stamattina ho in testa un motivetto molto musicale, a mo’ di filastrocca. Me lo sono canticchiato parecchie volte oggi, in italiano. Breve ricerca, ed ecco il risultato.

Corre l’anno 1969, siamo già in epoca psichedelica e progressive (negli Usa ci sono i Grateful Dead di Jerry Garcia e i Jefferson Airplane di Grace Slick, c’è Jimi Hendrix…; a Londra troviamo i Pink Floyd, i Soft Machine, i King Crimson, i Genesis…), e proprio nella Swinging London la BBC comincia a trasmettere una canzoncina che in poco tempo tocca i vertici delle classifiche musicali, restandoci per qualche mese:

Il gruppo è quello degli Scaffold, un gruppo votato al cabaret, in cui milita addirittura il fratello di Paul McCartney, Peter (il primo solista nel video). Per chi vuole, qui si può leggere il testo originale.

E in italiano? Udite udite:

Il cantante è quel marpione di Antoine, che sull’onda del successo dovuto alla sua partecipazione a vari festival di Sanremo, da qualche anno imperversa in Italia con le sue camicie a fiori.
Pochi sanno però che la prima versione italiana di questa canzone è di un gruppo di nicchia a metà strada fra il cabaret e il jazz, gli indimenticati Gufi di Lino Patruno, Nanni Svampa, Roberto Brivio e Gianni Magni:

Che dire quindi? Beh, se pensiamo che i vincitori del festival di Sanremo di quell’anno sono Bobby Solo e Iva Zanicchi con Zingara

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Benno von Eppan – 6

In una notte agitata da sonni inquieti, Benno von Eppan vide se stesso proiettato qualche mese più avanti nel tempo, diciamo nel mese di aprile. Aveva letto e riletto le istruzioni, si era sciroppato pagine su pagine di spiegazioni  su come compilarlo.

L’incubo incombeva.

(l’immagine viene da qui)

Più andava avanti, più si rendeva conto di quanti si trovavano nelle sue stesse condizioni.

(l’immagine viene da qui)

Aveva nel pomeriggio letto un articolo che gli aveva fatto saltare definitivamente la mosca al naso: per pagare tasse e contributi avrebbe dovuto lavorare una settimana in più rispetto all’anno precedente: fino al 19 giugno per sfamare l’appetito di Erario, comuni ed enti previdenziali. E nel sogno si vide a Cortina: non nei panni del vacanziere, ma in quelli più vendicativi di un esattore. La vendetta è un piatto che va servito freddo, si dice: dopo aver fatto i debiti controlli, verificata e acclarata l’evasione, Benno meditava sulla punizione da infliggere agli evasori. Non bastava la pena pecuniaria: doveva esserci qualcosa di più eclatante…

Mentre Burgunde mescolava il caffé e lo guardava pensierosa, Benno si risvegliò e si vide con uno sguardo mefistofelico e un ghigno sprezzante: “ho sognato di comprare diversi chili di pomodori marci”, disse a una Burgunde sempre più perplessa.

(l’ immagine viene da qui)

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P.S.: comunicazione personale

Grazie a Lorenzo, il figlio di un’amica blogger che mi ha dato una dritta attraverso un preziosissimo link e alla pazienza di Nicola, il moroso di mia figlia, alla quale lo ho per così dire sottratto per un intero pomeriggio e una mezza serata, il mio precedente blog è riapparso integralmente nella nuova piattaforma. Adesso sto cercando di trasportare anche quello più vecchio, quel ‘donnabissodia’ con il quale ho iniziato l’avventura di blogger. Nicola mi ha chiesto perché non li riunisco in un unico blog. Ci ho pensato un po’, poi mi sono convinto che rappresentano tre momenti diversi, e come tali li vorrei tenere. I link? Li metterò, forse. Ora come ora non ne sono sicuro che ne valga la pena.

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Rivisitazioni – 3

Correva l’anno 1965. Due eventi importanti, in quell’anno: inizia la rivoluzione culturale in Cina e iniziano i bombardamenti americani in Vietnam. Avevo dodici anni, troppo giovane per capire queste cose: ero invece contento perché l’Inter aveva vinto nuovamente la Coppa dei Campioni, con una formazione che ancora oggi ricordo a memoria, giocavo con i tappi corona nei quali era inserito il nome del ciclista (ricordo Anquetil, Baldini, Van Looy, Gimondi…), durante l’estate si guardava alla televisione ‘giochi senza frontiere’.
L’anno seguente però, alcuni ragazzi di cinque anni più vecchi di me (digressione necessaria: i loro diciott’anni significavano molto, per me) mi fecero sentire questa canzone di un per me sconosciuto Barry McGuire:

Era la versione originale di una canzone che avrei sentito qualche tempo dopo nella versione italiana cantata da Gino Santercole, (il nipote quasi coetaneo di Adriano Celentano) al Cantagiro del 1967: cominciavo a capirci qualcosa di più di musica, e mi sembrò alquanto strano lo stravolgimento del senso stesso della canzone originale, al punto da diventare una specie di storia d’amore e tradimento:

Ci sarebbero voluti invece diversi anni per sentire una versione di forte protesta politica che riprendeva -stravolgendolo in chiave di ‘rivoluzione violenta’- il senso dell’originale. La canta Pino Masi, forse sconosciuto ai più ma alfiere della canzone italiana d’impegno politico:

D’altra parte, questa versione -che purtroppo ha un audio non troppo buono- è figlia dei suoi tempi (metà anni ’70, credo) e come tale va presa. Al di là di qualsiasi ideologia.

Buon ascolto, e via con i ricordi!

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Benno von Eppan – 5

In una delle sue notti agitate da sonni inquieti, Benno von Eppan si vide poeta ungarettiano: scrisse versi profondi: “Si sta / come ogni giorno/ un negozio / in cui non entra/ nessuno”. Nel sonno fotografò anche sé stesso mentre abbelliva la vetrina: i passanti facevano il loro dovere e basta: passavano. E si fermavano altrove. La cassetta delle lettere desolatamente vuota. Quando realizzò che gli unici messaggi presenti nel suo cellulare erano quelli del gestore di telefonia mobile, ebbe la forza di dire: “Magari è solo perché non hanno tempo”…

A Burgunde che mescolando il caffé gli chiedeva che intenzioni avesse, Benno non rispose. Di fronte all’evidenza dei numeri, pensò, non c’è altro da fare. E guardandola negli occhi, si meravigliava di come lei sapesse leggergli nel pensiero.

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